Potenza, 13 maggio 2022.
Ci piace pensare che non sia solo il caso ad aver scelto questa data per la scelta dell’arrivo del Giro d’Italia a Potenza. Perché proprio nella notte del 13 maggio del 1909 nacque questa storia che unisce l’Italia da Sud a Nord. Quella volta il giro passò per Bologna, Chieti, Napoli, Roma, Firenze, Genova e Torino per un totale di 2.447,9 km. La prima tappa, proprio quella del 13 maggio, partì da Piazzale Loreto a Milano, alle 2 e 35 del mattino, e arrivò a Bologna, un percorso di 397 km — la presero decisamente alla larga- vinto da Dario Benni, un passista nato nel 1889. Quella prima edizione fu vinta da Luigi Ganna che, così come ha raccontato Marino Bartoletti la mattina del 13 maggio 2022 nello spazio Enel di Potenza, intervistato all’arrivo finale sotto la Madonnina pare che avesse dichiarato: «…Me brüsa tant el cü!…». Facile intuirne la traduzione, anche se si vive a pochi passi dal Basento e poco più su dal Mediterraneo.
Così come vogliamo credere non sia un caso che la settima tappa dell’edizione 2022 della corsa rosa più famosa al mondo, sia partita dal mare orizzontale e sia arrivata nella città verticale, attraversando colori e luci che solo la Basilicata sa donare allo sguardo e al cuore. Le abbiamo viste tutti le immagini delle telecamere di tutto il mondo che hanno inquadrato la nostra bellezza, provando a catturarne l’anima che solo attraversando a piedi il silenzio ed il calore dei nostri paesi è possibile sentire sulla pelle. Le settimane, i giorni e le ore che hanno preceduto l’arrivo della carovana si sono riempite di emozioni, ansie, nervosismi, polemiche e qualche esasperazione di troppo. Ma gli attimi in cui questi uomini di muscoli e carbonio sono passati velocemente sotto il nostro sguardo, sono già entrati nelle nostre memorie che ben presto diventeranno nostalgie. Potenza del Giro, bellezza dello sport che riunisce e non divide, forza di una grande storia popolare che rammenda il paese e le sue comunità.
La tappa potentina verrà ricordata in tanti modi.
Certamente la cronaca sportiva, che fa segnare sul taccuino dei giornalisti e degli addetti ai lavori la vittoria dell’olandese Koen Bouwman dopo una lunga fuga e al termine di uno sprint a quattro. E ancora, l’arrivo stesso in via Verrastro, un fatto inedito, piazzato a pochi passi dagli uffici della giunta regionale, che tanto ha fatto parlare nei bar e sui social media tutti quelli che animano il dibattito pubblico. Così come l’entusiasmo dei più piccoli e dei nonni, l’esplosione del colore rosa che ha dipinto il volto della città. Ma anche la poesia della fuga, la solitudine del gruppetto di testa che si inerpicava sulle dure salite lucane e su quelle della città capoluogo, che sono spesso metafora della vita e delle sue complessità. Ed è proprio una salita lo scenario scelto per raccontare attraverso la fotografia il passaggio potentino del Giro. Una salita che chiunque conosce Potenza, o magari chi un giorno la scoprirà, saprà riconoscere: un tratto lungo, seguito da un tornante, poco prima dell’ingresso nel cuore antico della città. Una città che si è riscoperta viva, bella, con un potenziale enorme ed un’energia che non può più restare spenta. Potenza ha dimostrato, ancora una volta, di essere il luogo ideale del possibile, ossia dove è possibile che le cose avvengano. Lo ha dimostrato negli anni passati ospitando il capodanno Rai, lo ha ribadito con il Giro d’Italia. Anche a Potenza si può fare. Anche Potenza può essere parte del mainstream. Anche a Potenza possono nascere e decollare grandi progetti. Questo i potentini lo sanno bene, nonostante tutto e tutti gli scoraggiatori militanti e quelli che provano a determinare il destino futuro della città non riconoscendone — taluni non conoscendo affatto — la storia.
Chi abita la città verticale sa bene qual è il ruolo che gli spetta nella corsa della vita di tutti i giorni. Prendendo in prestito termini del ciclismo, è la fatica dello scalatore che racconta la vita in questi meridiani e paralleli. Pensando allo scalatore, e alla poetica che lo racconta, vengono in mente le parole splendide del giornalista Domenico Quirico scolpite nell’articolo “Da Bottecchia a Pantani, quando “les italiens” scalano la leggenda” (La Stampa, 27/07/20149): “La strada, oggi come al tempo degli altri italiani vincitori del Tour, sta su per scommessa, in un mondo di morte, una catena di pietre secche, senza il lampo di un fiore, una bava di acqua; è un paradiso di lucertole. La montagna è il luogo delle retoriche deboli. Il luogo delle verità nude, e dei miti. I «grimpeur», gli scalatori come Nibali, Bartali, Pantani, sono i soli ciclisti che soddisfano filosoficamente alle condizioni della proposizione vera. Il passista, lo sprinter emergono dalla cacofonia, cercano il guizzo dell’ultimo che parla e ha ragione. Lo scalatore no, lascia il fardello della vita comunitaria, del «peloton», si arrischia, va nel vuoto, vede il cielo attraverso i pedali”.