Questo articolo è tratto da Orizzonti n. 45
L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro si ripropongono come oggetto di studio e analisi a 100 anni dalla sua nascita. Nato il 19 aprile del 1923, Scotellaro nella sua vita – troppo breve e febbrile – ha piantato semi che ancora oggi producono frutti generosi di cui si nutre la cultura e l’identità lucana. Certamente la sua poetica, così come la sua azione politica, va contestualizzata in un tempo e in una geografia che non sono queste del nostro qui ed ora, ma la sua eredità morale e culturale si respira e si tocca ancora a piene mani, nel tempo contemporaneo che ci è dato da vivere. Intere generazioni di artisti, agricoltori e lucani che non hanno mai smarrito le proprie radici si sono ispirati alle parole e ai versi del poeta di Tricarico, la cui figura troppo spesso è sfociata nel mito e nel pop tradendo così la missione in terra che il giovane sindaco materano provò a compiere. Ma è fuori di dubbio che è tra le pagine delle sue opere più note, anche quelle incompiute, che si fonda una identità collettiva e una lingua comunitaria che disegna confini, speranze, territori, appartenenze.
Fra me e te
voglio piantare un frutteto.
Con le tue braccia intreccerò una vite
e quando la pioggia verrà
non ti lascerò sola.
Appena il sole sarà alto
ti canterò nelle vene.
Ogni sera verrò a bere
ai tuoi grappoli,
poi l’alba verrà
(Rocco Scotellaro, 1949)
L’eredità scotellariana secondo gli intellettuali
Rileggendo gli atti del convegno di studio “Scotellaro trent’anni dopo” (Tricarico-Matera, 27-29 maggio 1984), nel quale parteciparono studiosi, intellettuali, storici, politici e giornalisti, è possibile rintracciare la linea dell’eredità scotellariana e l’impronta sulla terra del suo dire e del suo fare. Di questa opera riportiamo alcuni passaggi utili, a nostro avviso, a ricostruire una memoria e a consegnarla ad una comunità regionale più ampia.
“L’opera dello Scotellaro è saldamente ancorata alla realtà meridionale e di questa si nutre subendo i possibili influssi informi e primordiali, proprio di una regione primitiva e di una condizione contadina, tanto che il paesaggio e che vicende non vengono filtrati dalla memoria e dal lirismo, ma si dispiegano nella loro dura crudezza ‘[…] dal momento che in essa urgono con estrema violenza e corposità situazione e motivi aspramente realistici, al seguito di un impegno che trae origine proprio dall’esperienza piena della miseria contadina e pastorale, dall’esistenza del apese, nel rito delle stagioni e delle nascite e delle morti, ed è solidarietà appassionata prima che precisa scelta politica, comunanza di esperienze, di discorsi intorno al fuoco e al vino, amicizia fin dall’infanzia, prima che impostazione razionale di atteggiamenti, di posizioni, di comportamenti’”. (L’uva amara dei contadini meridionali, Pompeo Giannantonio; G. Barberi – Squarotti, “Saggio inedito” in AA.VV., Omaggio a Scotellaro, Manduria, Lacaita, 1974).
“Al centro di tutto, i contadini. Ma non per un privilegio o una priorità: era la condizione oggettiva di un paese come Tricarico. Contadini non significa una classe: sarebbe oltremodo riduttivo. Contadini è il paese, la comunità; è la cultura, un comportamento, un modo di vivere. È l’economia del paese e quindi una regola di vita. Al centro – dunque – la terra attorno alla quale si organizza e si sviluppa la lotta per il cambiamento. È la lotta per le terre che è stata e rimane uno dei fatti storici più importanti del dopoguerra e quindi della costruzione della Repubblica”. (La poesia della politica, Gini Bloise)
“Tra la fine del ‘42 e quella del ‘43 mentre sta maturando il grande cambiamento, Rocco scrive il suo lungo racconto, uno si distrae al bivio, nel quale riconsidera la decisiva avventura dell’anno passato a Trento, a ‘mille chilometri circa: la distanza di un giorno di autunno da un giorno d’estate’. Da allora l’impegno di Scotellaro diventa emblematico di quello di una generazione di ventenni che nelle nostre provincie sarà segnata da un’intensa partecipazione alla lotta politica, alla quale sacrificherà studi e carriere, senza nemmeno l’ancoraggio del funzionariato comunista. Sarà quasi ovunque, un impegno senza collegamenti e senza nemmeno utili richiami alle migliori tradizioni regionali, riscoperte in seguito, piuttosto individualmente, e casualmente”. (L’eredità di Rocco Scotellaro, Leonardo Sacco – Direttore Basilicata Editrice).
Significativo e denso di valore civile è anche l’intervento dell’allora Presidente della Regione Basilicata, Carmelo Azzarà, che sul finire del suo saluto conclusivo si esprimeva con queste parole: “La storia in sé stessa non avrebbe significato se fosse soltanto un fatto di memoria, la storia serve anche come insegnamento e monito: allora ricordare Scotellaro a mio avviso da questo ulteriore motivo di soddisfazione e utilità: quello di ricordarsi che nei momenti difficili – i nostri sono sempre momenti difficili – c’è bisogno del sacrificio di sé stessi. Rocco Scotellaro è stato in prigione non certamente per interesse personale, ma per sostenere gli interessi delle comunità. Questo pagare di persona, al di là delle analisi letterarie pure utili, penso sia l’insegnamento di Scotellaro che noi dobbiamo cogliere. Ci sono oggi nella Regione tante energie, è prioritaria l’esigenza di andare ancora avanti. L’esempio di Scotellaro e la sua volontà di riscatto devono modellare il nostro impegno civile. La cittadella che era chiusa si è aperta, ma vuole spalancare ancor più sé stessa all’Europa e al mondo per una maggiore giustizia sociale e migliori condizione di vita”.
Io sono un filo d’erba
un filo d’erba che trema.
E la mia Patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.
(Rocco Scotellaro, 1949)
Una poesia non povera o elementare
C’è un mito che va sfatato: la poetica di Scotellaro non era certa povera o elementare, pur occupandosi di contadini e terra. Ha tuttora ragione Giulio Stolfi, che è stato avvocato e poeta lucano, che rispondendo alle domande di Anna Angrisani disse chiaramente: “La poesia di Scotellaro non è la poesia di un poeta contadino, come hanno voluto dimostrare alcuni, ma è poesia colta: ha una grande esperienza culturale. Rocco è un poeta valido, colto”. (“L’alba è nuova. Braccianti pesti, sociologi, politici… intervistati su Rocco Scotellaro”, Anna Angrisani 1977 Galzerano Editore). Ed è ancora una volta Carlo Levi a definire il poeta e il giovane uomo: “In Scotellaro la poesia fu esistenziale: anche la costruzione di un ospedale, una riunione sindacale… tutti in lui diveniva poesia; come esistenziale fu in lui il legame tra poesia e interesse sociale”.
E ancora: “Conobbi Rocco nel ’46 durante la campagna elettorale, che condussi in Lucania per il referendum; da allora fummo sempre amici. Rocco mi raccontava tutto di lui, dalle piccole vicende familiari, con relativi problemi, alle sue crisi, che furono molte e certamente ne affrettarono la fine: volle vivere in pochi anni tutta la lotta della sua gente per conquistarsi la libertà, l’autonomia, la cultura, la poesia. Fu uno sforzo troppo grande per un piccolo cuore di un giovane contadino… Quanti bivi strazianti, quante scelte, lacerazioni e lotte interne da superare, e lui solo…”. (“L’alba è nuova. Braccianti pesti, sociologi, politici… intervistati su Rocco Scotellaro”, Anna Angrisani 1977 Galzerano Editore). Scotellaro faceva poesia con i materiali della non-poesia, viveva la terra e la comunità con un antico furore e il desiderio politico di costruire tempi migliori.
Il perché Scotellaro ha generato interesse e suscitato fascino è ben spiegato da Francesco De Napoli nell’introduzione alla sua opera “Rocco Scotellaro oltre il Sud” (Edizioni Eva, 2003): “Come non rimanere conquistati, come non amare la poesia e la lezione umana, civile e intellettuale del Poeta di Tricarico, insieme con quel suo modo di essere vero e pulito, insomma ‘sincero’, per usare un termine caro al linguaggio degli umili? Rocco Scotellaro, ‘prototipo’ inimitabile e ‘campione’ unico – non soltanto per intere generazioni di lucani – anima ed espressione della cultura popolare contadina, di cui seppe incarnare ed interpretare in maniera esemplare le attese e le angosce, i sogni e le disillusioni, le festosità e i lutti. Una vicenda esistenziale capace di suscitare emozioni indicibili, insieme con una dedizione assoluta – viscerale ed istintiva – che, misteriosamente, sgorga direttamente dal profondo degli animi, grazie all’indiscutibile fascino di queta martoriata e dolcissima poesia, fino a tramutarsi in qualcosa di altro e di più…”.
Sradicarmi?
La terra mi tiene
e la tempesta se viene
mi trova pronto
(Rocco Scotellaro, 1942)
Un lascito morale per le generazioni di oggi
A 100 anni dalla sua nascita si fa necessario un nuovo lavoro di reportage e narrazione – sull’esempio di “Contadini del Sud”, il libro inchiesta che l’editore Laterza commissionò a Scotellaro per raccontare i contadini meridionali – sul suo lascito culturale e morale, sulla Basilicata e sulla generazione degli under 40 lucani che ha scelto di credere che proprio questo possa essere il luogo ideale ove vivere, progettare, lavorare, generare futuro. Perché qui c’è una generazione che si è legata alla terra, a questa nostra terra, e per la quale sta investendo tempo, energie e risorse; una generazione di “restanti” o rientranti fatta di contadini 4.0, artigiani del digitale, imprenditori della sostenibilità, cuochi e intellettuali, che trova – e può trovare – ispirazione proprio nelle fertili parole di Scotellaro e nel suo esempio, che in questi cento anni ha continuato ad illuminare di bellezza e ancestrale purezza la Basilicata.